Storia dell'ukulele

Storia dell'ukulele in pillole

Un viaggio a quattro corde dalle isole del paradiso alla culla del jazz

 

Uno strumento che racconta paesi esotici e lontani da noi, ma è legato all’Europa, per questo la sua forma ci ricorda la chitarra, il mandolino che conosciamo molto bene. Il nome si traduce dalla lingua hawaiana con danza delle pulci o pulci saltellanti. Ecco come vedevano le dita dei primi suonatori di Machete che si muovevano sulla piccola tastiera gli isolani hawaiani. La leggenda attribuisce questo soprannome al generale inglese Edward William Purvis, che frequentò la corte del re Kalakaua, una figura importante nella nascita dell’ukulele. Ma esiste anche una seconda interpretazione del nome data dalla Regina Lili’uokalani, ultima monarca hawaiana: per lei questo nome significa "il dono che è venuto qui" dalle parole uku (dono o ricompensa) e lele (a venire), naturalmente da un altro paese: il Portogallo.

Un dono arrivato nella terra hawaiana da straniero.
 
mioukulele/blogspot.it


 
La nostra storia comincia sui cieli azzurri dell’Oceano Atlantico, in cui si spiegano le vele della nave veloce "Ravenscrag" in viaggio per raggiungere Honolulu. Siamo nel 1879. In mesi di viaggio fra tempeste e malattie, tre ebanisti di Madeira attraversano l’oceano per arrivare alle Hawai, insieme a migliaia di altri portoghesi in cerca di fortuna e lavoro. Fra la gente ammassata sui ponti e contro le paratie della nave si diffonde il suono confortante degli strumenti tipici della loro terra, simili a piccole chitarre, ma con solo quattro corde. Tutti cantano al passaggio dei musici per rendere il viaggio meno duro. Una musica nuova arriva con il Ravenscrag, qualcosa di diverso e mai sentito prima per gli abitanti delle Isole: sono i canti religiosi portoghesi accompagnati da un piccolo Machetè portoghese, il machetè di Madeira. Due settimane dopo lo sbarco della "Ravenscrag", a fine agosto del 1879, quella musica si sente ancora. Il giornale hawaiano "Gazette" parla di persone delle isole di Madeira che deliziano la popolazione con i loro concerti serali in strada, fra le palme e le capanne.

Costruire strumenti richiede pazienza, conoscenza antica e tanto lavoro. Occorre tagliare le sagome su un legno adatto e lasciarle prendere la forma. Incastrare e mettere insieme ogni parte con precisione. Limare, rifinire ogni piccolo dettaglio, imprimere il proprio marchio frutto di fatica e passione. Ascoltare e ascoltare con apprensione il risultato, le corde tirate e la loro magia. Augusto Dias, Manuel Nunes e Jose do Espirito Santo, i tre ebanisti di Madera, sbarcati a Honolulu questo lo sanno fare. Sono i primi liutai che creano l’ukulele con le loro mani su queste isole lontane per quel legame, quella profonda necessità che lega l’uomo alla musica.

Dias nel 1884 risulta già nei documenti storici un provetto produttore di chitarre e mobili. Ma oltre alle sue abilità come costruttore è un musicista di talento. Intrattiene re David Kalakaua e i suoi invitati nel bungalow reale. Il sovrano lo ascolta prima con curiosità poi con sempre maggiore interesse. Secondo Christina, la più vecchia dei nove figli del re, David Kalakaua, mecenate e grande amante della cultura, divenne un frequentatore abituale del negozio di Dias. Durante queste visite la figlia gli faceva da traduttrice perché non riusciva a parlare portoghese, mentre Augusto non parlava inglese. Dalle mani di questi artigiani musicisti e dai loro sogni è nato lo strumento hawaiano per eccellenza.

Nel 1915 in occasione del completamento del Canale di Panama a San Francisco, viene organizzata la Pan Pacific International Exposition, un evento straordinario, una vetrina per l’esposizione di prodotti e manufatti tipici di ogni parte degli Stati Uniti d’America. Nel padiglione delle isole Hawaii una delle principali attrazioni sono le danzatrici di Hula con il loro caratteristico gonnellino di paglia. Le ragazze mentre danzano suonano l’ukulele. Moltissimi visitatori si portarono a casa queste piccoli strumenti come ricordo. Grazie alla nascita del cinema, allo sviluppo della radio, al diffondersi delle prime incisioni, il piccolo ukulele mostra le sue qualità e la sua attitudine ai ritmi jazz. Le ridotte dimensioni e il costo contenuto fanno il resto, tanto che le maggiori case produttrici di strumenti a corde tra cui Martin e Gibson, nei primi anni ‘20 hanno in catalogo già vari tipi di ukulele. In moltissime famiglie americane entra l’ukulele anche grazie alla sua apparente semplicità: viene usato per avvicinare i bambini alle prime pratiche strumentali e viene scelto per la graziosità delle forme e per la sonorità delicata dalla clientela femminile.

Per le sue origini esotiche da sempre ha sollecitato la fantasia del mondo del cinema: basta pensare al film degli anni ‘30 "I Figli del Deserto" interpretato da Stan Laurel e Oliver Hardy, conosciuti in Italia come Stanlio e Olio. I due comici con l’ukulele accompagnano il motivo "Honolulu Baby" di ritorno da un fantomatico viaggio nelle isole. In quegli anni però molti attori suonano l’ukulele: il divo del cinema muto Buster Keaton e il comico Bop Hope. Anche tra i jazzisti molti da bambini hanno avuto i primi approcci musicali proprio con l’ukulele. Fra tutti la vera star di Hollywood fu Cliff Edwards detto Ukulele Ike che dettò i canoni dell’uso dell’ukulele come accompagnamento al canto. Nell’interpretazione delle canzoni dell’industria musicale newyorkese, Tin Pan Alley che dominò la musica popolare dei primi 900, non poteva mancare l’ukulele. Gli spartiti originali andavano in stampa con le tablature per ukulele anche quando si trattava di compositori come Cole Porter, Irvin Berlin, George and Ira Gershween. Solo quando iniziarono a soffiare i venti di guerra, il delicato suono dell’ukulele scomparve travolto dal fragore delle artiglierie. Nel 1941 con il bombardamento di Pearl Harbor, la base navale americana nelle isole Hawaii, da parte dei Giapponesi, i piccoli allegri strumenti vengono messi da parte e il loro canto diviene sempre più fioco come una ninna nanna malinconica di paesi lontani.

Finita la guerra: è l’avvento del nylon, del disco a microsolco, del Jazz. Il Be bop, musica da intenditori, da iniziati, spesso veloce. Un’altra bomba, apparentemente innocua, sta per scoppiare: la televisione la cui diffusione nei primi anni ‘50 cambia le abitudini e condiziona le scelte. Migliaia di famiglie americane si siedono intorno a questo nuovo mobile nel soggiorno di casa: la nonna, il nonno, il papa, la mamma e i bambini intorno che non riescono a stare fermi ma tutti guardano incantanti lo schermo, una magica presenza. Moltissimi di loro seguono l’Arthur Godfrey Show, una sorta di varietà che riporta in auge il piccolo ukulele. Il conduttore, presentatore e intrattenitore, che alterna i vari numeri cantando e imbracciando l’ukulele per eseguire brani imparentati con le sonorità e le armonie del Jazz.

Dopo tanti anni di liuteria e lavoro su legni e verniciature artigianali arriva l’era della plastica, del giocattolo ukulele dalle forme e colori che sono rimasti nella fantasia di tutti i bambini. Negli anni ‘50 un geniale liutaio di origine italiana per primo comincia la produzione su scala industriale di milioni di esemplari. Il liutaio Mario Maccaferri, le cui chitarre furono gli strumenti preferiti dal virtuoso Django Reinhardt, costruì il primo ukulele in plastica. Usando degli stampi riuscì ad abbassare drasticamente i costi di lavorazione vendendo buoni strumenti sia per bambini che per musicisti alle prime armi. Questi strumenti allora economici e alla portata di tutti oggi sono ricercati dai collezionisti di tutto il mondo.

Le mie fonti:
Wikipedia voce ukulele
Ukulele che passione blog di Ukulcodette
Jazzitalia le lezioni di Carlo de Toma
vintageukemusic
kamakahawaii
The Ukulele: A Visual History di Jim Beloff
        

 

Commenti